Per indebolire le vostre lotte sociali, per sgonfiare le più nobili cause, per sottrarre credibilità all'impegno nella difesa dell'ambiente, degli animali, della coesione sociale e della pace nel mondo, tutto quello che dovete fare è mettervi un'etichetta e permettere che anche gli altri ve la appiccichino addosso.
Definitevi. Distanziatevi. Circoscrivetevi. Delimitatevi. Fatevi chiamare attivisti, e i vostri accorati appelli avranno la gittata di una pisciata sulle scarpe.
Nessuno, all'infuori di persone già sensibili ai temi che volete portare all'attenzione, ascolterà con particolare interesse le informazioni che state divulgando. Dicendogli subito che voi siete un'altra cosa, che siete attivisti e non comuni cittadini, che siete militanti e non persone normali stanche di subire ingiustizie, non riusciranno a identificarsi, vi sentiranno distanti, alieni, persino poco raccomandabili.
Attivisti, animalisti, ambientalisti, antagonisti... È davvero necessario infilarsi al collo la medaglietta di riconoscimento? A quale scopo far rientrare solo in una cerchia selezionata valori, idee e iniziative di portata universale?
Questi sostantivi non hanno niente di male in sé, ma il significato di cui sono stati caricati nel corso del tempo li ha resi ormai inservibili, se non per nuocere a chi se ne fregia.
Se lo scopo è diffondere conoscenza e consapevolezza cercando di convincere tante persone che il nostro punto di vista riflette più accuratamente la realtà, bisogna mettere queste informazioni in un contenitore pulito. Purtroppo, i recipienti delle parole che stiamo esaminando sono stati deliberatamente lordati.
Cercando il sinonimo di attivista, troviamo sostenitore, seguace, aderente, ma anche militante, fomentatore, sobillatore, propagandista, agitatore, combattente. Sinonimi grossolani e imprecisi, ma si tratta di termini con connotazione negativa che nell'inconscio globale sono diventati intercambiabili, benché abbiano sfumature concettuali molto diverse.
Facciamo l’esempio di una persona che normalmente non si interessa di politica e di questioni sociali, una persona come tante, che lavora, rincasa la sera e aspetta il weekend o il turno di riposo per dedicarsi allo svago e alla famiglia.
Un giorno, per qualche ragione, o soltanto per caso, assiste a una manifestazione, a una conferenza o a una trasmissione dove una tizia spiega con chiarezza e in chiave critica un determinato problema. Mettiamo che si parli di crisi climatica. Il nostro soggetto, la persona senza slanci ideali, quella che di solito non si sente coinvolta, che a malapena legge i titoli delle notizie e non approfondisce, stavolta si ferma ad ascoltare e sente risuonare qualcosa dentro di sé. Le pare di aver sempre saputo, di aver sempre pensato quello che la tizia carismatica sta affermando. Vibra all'unisono con le argomentazioni, sente crescere un'indignazione di cui non sospettava di essere capace. Il messaggio è arrivato e ha colpito nel segno.
Se però alla persona media che abbiamo preso in esame venisse contestualmente comunicato che la donna che parla al microfono è un'-ista, si aprirebbe immediatamente un solco di separazione: da una parte c’è lei, l'ambientalista, l'attivista, una col passamontagna, un'agitatrice, una che affronta a muso duro le squadre speciali antisommossa; dall’altra ci sono io, un ordinario cittadino che, benché d’accordo con le tesi dell’oratrice, non pensa di avere la stoffa e il coraggio per fare la rivoluzione.
Una semplice parola può spostare consenso e voti, può farci percepire qualcuno con cui potremmo avere delle affinità come una frequentazione poco opportuna, una potenziale fonte di guai.
Non è ovviamente tutta qui la spiegazione di come mai le grandi questioni del secolo non riescono a fare salda presa sulla maggioranza dei cittadini e a convincerli a prendere posizione, ma se invece di chiamarli attivisti riuscissimo a restituire a quelli che hanno il tempo, la volontà e l’energia di impegnarsi socialmente la loro autentica identità di persone immerse nella vita quotidiana, che pagano le tasse, che qualche volta hanno problemi di salute, che cercano di proteggere i loro figli e nipoti da un futuro minaccioso, forse qualche leggero cambiamento di tendenza si comincerebbe a vedere.
Se alcune persone che difendono le loro case dall’esproprio le definiamo come “proprietari di immobili ai quali si sta cercando di sottrarre i loro beni”, probabilmente ci sarà una levata di scudi in loro favore da parte dell'opinione pubblica. Ma se diciamo che quelli sono ambientalisti, è garantito che la solidarietà diventerà meno vigorosa.
Ecco un altro esempio tratto da una reale cronaca contemporanea.
Al tavolo della conferenza stampa, un pacato ingegnere in pensione che ha lavorato tutta la vita nella pubblica amministrazione denuncia la mancanza di trasparenza e le ingerenze di soggetti politici in decisioni tecniche riguardo a opere urbane che comprometterebbero aree di interesse naturalistico tutelate dalla legge. A seguire l'incontro, oltre ai giornalisti, una platea di persone comuni, perlopiù di una certa età, la gente che potreste incontrare mentre fate la spesa o che incrocereste durante una passeggiata sul lungomare.
Sui notiziari del giorno dopo, però, nel sommario dei servizi che riprendono quell'incontro, qualche caporedattore decide di scavare il fossato: "Gli ambientalisti denunciano…".
Il mite ingegnere che ha a cuore la democrazia e esige, insieme ad altri cittadini coscienziosi, che le regole siano rispettate, viene collocato d'ufficio dentro allo stereotipo dell'ambientalista, o meglio, della sua caricatura, quella di un tipo stravagante un po' figlio dei fiori, un utopista rompicoglioni in bicicletta che abbraccia gli alberi e si oppone al progresso e allo sviluppo economico, un personaggio naïf molesto e inattendibile.
È precisamente questa l'immagine - sbagliata, distorta, fuorviante - che si forma istantaneamente nella testa dello spettatore o del lettore. Anche se non ha pregiudizi, anche se moralmente sta dalla loro parte, quel sostantivo traccia una netta demarcazione tra “loro” e me, tra gli idealisti allo sbando e l’uomo mansueto.
Questo effetto è il risultato di anni e anni di utilizzo manipolatorio di parole che altrimenti sarebbero usate con parsimonia e solo in ambiti specifici.
Questi -ismi sono parole magiche che i media e le istituzioni usano per squalificare le argomentazioni e delegittimare le persone che le esprimono. Sono armi mediatiche per sparare sulla folla e disperderla, come gli idranti e i lacrimogeni.
Non è bello ma è comprensibile che i governi e gli organi di informazione compiacenti adoperino mezzi sleali per cercare di smontare l’evidenza dei fatti e gli argomenti più stringenti.
Sarebbe quindi utile se tutte le persone normali, impegnate e sensibili che investono i loro giorni a migliorare il mondo capissero finalmente che definire sé stesse -isti di qualunque sorta, anche se può riempire di orgoglio o consolidare un senso di appartenenza, in realtà non fa altro che ostacolare la loro benemerita missione.
Il tuo ragionamento funziona benissimo anche se prendi un esempio di colore opposto. Di quelli che questo effetto psicologico l’hanno capito da un pezzo… Raramente troverai un simpatizzante del nazismo o del fascismo che si definirà come tale, lo negherà con vigore anche quando le sue parole e azioni non lasceranno spazio ad alcun dubbio.