Quando sono giù di corda vado a farmi un giro da Ikea. Mi sono convinto che vendere mobili e accessori per la casa è solo un'attività secondaria della multinazionale svedese. La loro vera missione è trasportarti per il tempo che dura la visita in altre esistenze che avresti potuto o potresti vivere. È una specie di realtà virtuale, solo che Ikea l’ha inventata prima e non c’è bisogno di un apposito visore. Devi solo entrare nel capannone blu con l’insegna gialla e iniziare a seguire le frecce sul pavimento.
Non accade ancora niente mentre gironzolo tra cuscini imbottiti, trapunte, plaid e leggere coperte di pile arrotolate e stipate dentro a espositori cubici modulari, anche se un vago effetto sedativo comincia a farsi sentire.
Da Ikea non ci sono finestre. I contatti con l’esterno sono interrotti. Gli stimoli sensoriali provengono dalla tiepida illuminazione artificiale, dalla musica rilassante a basso volume diffusa da altoparlanti facili da mimetizzare e da un lontano profumo di polpette che arriva dall’area ristorazione, l’unica zona da cui si può guardare fuori attraverso vetrate che si affacciano sulla landa di provincia, il parcheggio, l'autostrada, la foschia sull’erba dei terreni industriali, un panorama dal quale è dolce sottrarsi rifugiandosi nelle convincenti simulazioni di ambienti domestici.
E il viaggio ha finalmente inizio: delimitati da pannelli che, seguendo articolate planimetrie, rappresentano le pareti, ecco gli appartamenti in cui sto per andare ad abitare.
Entro nel primo. Vado subito in cucina per controllare se c’è tutto quel che serve per gli ospiti. In soggiorno, il tavolo è apparecchiato per sei. Sarà una bella serata tra amici, arriveranno a momenti. Mi affaccio alla finestra, un semplice incasso sulla parete dove hanno applicato un poster con veduta notturna della Torre Eiffel. Mi siedo un attimo sul divano, sfoglio un libro che era appoggiato sul tavolino. È scritto in svedese. Chissà come mai si trova qui, a casa mia, visto che siamo a Parigi e io non capisco lo svedese.
Tutti i libri disposti nelle librerie e negli scaffali in vendita da Ikea non sono pezzi di cartone avvolti in copertine posticce, come succede nella gran parte dei mobilifici, ma libri veri, con le pagine anche un po’ ingiallite e usurate, edizioni svedesi di romanzi, saggi, manuali, volumi illustrati, ricettari.
Ogni ricostruzione di appartamento immaginario è più autentica e confortevole di qualsiasi spazio abitativo reale a parità di metri quadrati e disposizione degli ambienti. Non fosse per i cartellini col prezzo appesi a ogni sedia, a ogni tavolo, a qualunque oggetto, l’inganno sarebbe perfetto.
Mentre stanno arrivando gli amici che aspettavo per cena a Parigi, un altro mio alter ego si stacca e prende possesso di un monolocale proprio a misura di single, una tana ideale dove starsene in pace a leggere, cucinare e fare l’amore.
Qui c’è un minuscolo balconcino con qualche vaso di fiori; accanto all’angolo cottura coltivo piante di un verde brillante, e alcune pendono dal soffitto. Il posto è silenzioso, l’affitto economico. L’unica seccatura è il bagno, davvero troppo poco spazioso, e non c’è nemmeno il bidè. Avvilito da questa scoperta, mi stendo sul divano a sgranocchiare uno snack.
Ikea ti fa trovare sacchetti di patatine a fianco delle lampade a led, confezioni di biscotti vicino agli asciugamani, bibite e sciroppi nel reparto giardinaggio. Sembra quasi che qualcuno abbia dimenticato lì lo spuntino che intendeva fare, poi arrivi tu e hai la possibilità di soffiarglielo. L’associazione tra articoli per la casa e generi alimentari sembra casuale e bislacca, ma dev’esserci dietro uno studio di marketing subliminale che funziona benissimo.
Lascio che la mia controfigura continui a fare merenda stravaccata sul sofà del monolocale e trasloco di nuovo, stavolta in una casa di campagna con mobili dal gusto rustico ma moderno, una taverna dove io e lei ci prepariamo un tè e ci avvolgiamo in una coperta mentre fuori c’è la bufera di neve. Due tappeti a pelo lungo sono stesi sul pavimento, e una morbida poltrona sta in un angolo con sopra un paio di cuscini. La dispensa è piena, non ci si può muovere fino a quando il tempo non migliorerà.
Le case fittizie di Ikea non sono semplici esposizioni di elementi d’arredamento. Alle pareti sono appesi quadri e stampe, sui mobili vengono disposti oggetti di uso quotidiano, statuette e cornici con fotografie di coppie che sorridono. Potrei davvero essere io, uno di loro, o forse anche tutti e due. Questi ambienti sono accurati set dove ho l’impressione che da un momento all’altro la scena si animerà, dove entrerà qualcuno e succederà qualcosa.
A Parigi la cena con gli amici è in pieno svolgimento; nel monolocale me ne sto da solo ad ascoltare la radio con patatine e una birra a portata di mano; in taverna il caminetto crepita mentre il vento soffia nella sera di ghiaccio. Tre ambientazioni, tre circostanze, tre vite, ma potrebbero essere molte di più, almeno quanti sono gli appartamenti inventati da Ikea per darmi l’illusione di potermi moltiplicare e esistere ovunque desideri.
Tutti pensano che Ikea sia solo un grande negozio dove comprare articoli casalinghi, accessori e ingombranti pannelli di legno da assemblare, che si scoprirà peraltro di aver montato nell’ordine sbagliato dovendo ricominciare tutto daccapo dopo aver trascorso alcune ore seguendo facili istruzioni illustrate e numerate. Anch’io lo credevo.
Invece funziona come un sanatorio, una casa di cura dove posso farmi ricoverare per un day hospital ricostituente grazie al quale recupero le forze per sostenere il peso delle mie scelte incaute, delle occasioni sfuggite, del tempo sprecato.
Quando non riesco più a giustificare il motivo della mia esistenza, da Ikea ne trovo molte altre in cui traslocare. Non posso però definirmi un buon cliente, perché di solito non compro nient’altro che un barattolo di aringhe all’aneto.
Una dei "25 lettori"...ma sai bene che ne hai molti di più. È un piacere riconoscermi in ciò che scrivi, anche nelle indignazioni e non solo nelle Bellezze.
Quando , leggendo, mi pare di essere lì in quanto descritto, con simili sensazioni e parole, mi sento bene. E questo accade quando ti leggo: nel tuo "canale" di Suez e su Fb. Grazie.