A distanza di pochi giorni ho incontrato per caso due persone che non vedevo da anni.
Il primo, un piccolo imprenditore con cui avevo collaborato su certi progetti, è entrato a bere un caffè in un posto dove anch'io mi trovavo per lo stesso motivo. Dopo che ci siamo stretti la mano e scambiati i saluti, mi ha squadrato con espressione compiaciuta e mi ha detto: sei sempre uguale.
La seconda l'ho incrociata camminando per strada in centro città. Ci siamo sorpresi del fortuito evento, abbiamo parlato dell'ufficio dove eravamo colleghi, poi mi ha dato un'occhiata obliqua e ha affermato: sei molto cambiato.
È certamente possibile che uno dei due abbia mentito. Ma sono più propenso a credere che entrambi siano stati sinceri.
Cosa veda davvero ciascuno quando ci guarda è sempre un mistero. A seconda di dove ci troviamo e chi abbiamo di fronte, diventiamo qualcun altro che nemmeno noi stessi abbiamo mai avuto il piacere di conoscere.
Se incontrassi le versioni di me che hanno bevuto il caffè insieme all'imprenditore e ricordato i vecchi tempi con la ex collega, le troverei anch'io differenti rispetto a come immagino di essere.
Ogni giorno circolano liberamente alcune mie copie, copie non proprio identiche, anzi, piuttosto difformi l'una dall'altra, al punto che il passare del tempo sembra non aver lasciato segni importanti sulla mia fisionomia in un caso, e essere invece responsabile di una sensibile trasformazione nell'altro.
I due incontri casuali sono avvenuti con individui coi quali non ho mai avuto una frequentazione assidua o un rapporto di vicinanza stretto. Va anche specificato che il primo era un uomo e la seconda una donna.
Ma il corpo in cui abito e che ha suscitato le loro opposte reazioni vive la quotidianità insieme ad altri individui - i miei amici, i miei familiari - coi quali la vicinanza c'è. Eppure, neanche loro so come mi vedano.
Quando ti dicono che sei sempre uguale, forse intendono farti un complimento, anche se non si può essere proprio sicuri. Potrebbe invece essere un modo educato per comunicarti che il tempo trascorso non ha prodotto effetti: sei sempre il solito, non cambi, non evolvi, sei vissuto invano.
Più complesso invece capire cosa volesse dire la ex collega affermando che sono cambiato. Intendeva invecchiato? Sciupato? Era un modo cauto di farmi capire che dovrei avere più cura del mio aspetto? Oppure era anche questo un complimento che però sarebbe stato inopportuno esprimere esplicitamente? Forse intendeva "sei migliorato", ma dirlo sarebbe stato un apprezzamento troppo diretto da rivolgere a uno che non vedi da molti anni.
Non si può trascurare il fatto che con quelle due persone avevo intrattenuto relazioni esclusivamente professionali. La conoscenza reciproca era limitata a un ambito ristretto all'interno del quale l'aspetto fisico dell'interlocutore e la sua personalità passano presto in secondo piano.
Nel lavoro ci soffermiamo prevalentemente sull'utilità delle informazioni che possiamo ricavare dal nostro interlocutore e sulla sua capacità di svolgere determinati compiti. Ci sono, è vero, anche certi tipi di personalità tossica che contaminano i luoghi di lavoro e li rendono insostenibili; una divagazione del genere richiederebbe una riflessione specifica che magari faremo un altro giorno.
Ora però dovrei decidere quale dei miei due incontri casuali ritenere più attendibile. Oppure prendere in considerazione la possibilità che io sia fisicamente simile a com'ero venticinque anni fa, e allo stesso tempo molto diverso.
Ma la spiegazione più verosimile a questa contraddizione è anche la più fantastica: noi non siamo noi così come ci sembra di essere. Siamo piuttosto uno schermo trasparente dove, di volta in volta, chi ci sta davanti proietta un ologramma di ricordi, opinioni, sensazioni, immagini e giudizi, e tutto questo materiale mentale ha più a che fare con lo spettatore che con lo schermo.
Quando ci troviamo con altre persone ci sembra di vederne i contorni ben delineati e le sagome completamente opache, ma se guardassimo meglio, con la consapevolezza della natura continuamente mutevole e soggettiva condizionata dal punto di vista, ci stupiremmo a osservare delle creature simili a pesci che mentre ci passano accanto mutano colore e forma, diventano traslucide, e infine scompaiono, confondendosi con l'elemento cui appartengono.
Ogni volta che siamo in compagnia degli altri, siano essi sconosciuti o i nostri cari, si svolge una reciproca proiezione, e squarciare lo schermo trasparente per scoprire cosa davvero ci sia al di là è quasi sempre impossibile.